Mentre intere generazioni di professionisti si affannano per acculturare il popolo della rete sull’uso di Google Plus, sulla creazione della Fan Page perfetta su Facebook e, più in generale, su come comunicare sui social network, gli internauti si fanno beffe dei nostri sforzi e continuano a condividere gattini.
Fenomeno trash? Possiamo anche liquidarlo come tale, ma resta la curiosità di capire come è diventato lo specchio di una generazione, e perché Università prestigiose come il MIT, Harvard, la London School of Economics, dedicano tante risorse allo studio dei memes.
Abituati ad una tecnologia che ci seduce incontrando i nostri bisogni, ci aspettiamo sempre di più da essa e sempre di meno l’uno dall’altro.
Negli anni Novanta, il computer è divenuto un portale che ci ha permesso di vivere vite parallele in mondi virtuali, di dare un nuovo significato alla parola luogo, di avviare relazioni attraverso una macchina. I primi browser ci hanno permesso di esplorare nuovi paesaggi senza bisogno di avere una destinazione; i dispositivi mobili ci hanno permesso di farlo senza vincoli fisici, possiamo essere una qualsiasi delle nostre vite in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo. Il confine tra mondo reale e mondo virtuale non esiste più. Tutto ciò che facciamo in rete, anche una semplice ricerca, influenza le nostre vite.
Oggi la nostra vita reale è solo una delle tante finestre aperte nel nostro desktop, entriamo nelle vite virtuali di centinaia di persone, ma il nostro legame è prima di tutto con lo strumento, senza il quale non possiamo accedere alle comunità in rete, e che ormai ci accompagna ovunque.
Tablet e smartphone assottigliano i confini tra lavoro e tempo libero, ci fanno sentire sempre sotto pressione e consumano il nostro tempo non lasciandoci più spazio per noi stessi. Rispondiamo alle email e contemporaneamente scorriamo i messaggi su Whatsapp, leggiamo con la stessa fretta le notifiche di Facebook e le notizie dei quotidiani, ci sediamo a guardare la TV e nel frattempo twittiamo all’hashtag che scorre sullo schermo.
Non abbiamo relazioni, solo connessioni. Non comunichiamo, produciamo testi.
Sopraffatti dal volume e dalla velocità delle nostre vite, ci affidiamo alla tecnologia per trovare più tempo e comunichiamo rapidamente in modo inversamente proporzionale al tempo che consumiamo: in 140 caratteri o con un like. Dall’economia dell’informazione siamo passati all’economia dell’attenzione. Il valore non è più nelle informazioni che diamo, ma nell’attenzione che le persone vi prestano.
In risposta ai nuovi modelli comunicativi digitali, si è sviluppato in rete un fenomeno culturale che sta cambiando sempre più il modo in cui le persone interagiscono tra loro, e che usa i meme per comunicare.
La cultura dei memes
I meme – gli inglesi dicono “mim” – sono parodie di media, eventi, cultura popolare, sono risposte emotive a modelli e idee proposti dai mass media. Per capirne l’ironia è necessario far parte del gruppo culturale oggetto della parodia. Un solo meme raramente racconta una storia perché ognuno di essi origina dei commenti in risposta, origina nuovi meme, origina conversazioni di poche righe. Uno stile che ricorda le conversazioni di WhatsApp: un messaggio per ogni riga di testo. Per capire la storia bisogna accedere all’intera collezione.
I meme a volte evolvono individualmente e diventano dei veri e propri personaggi: Annoying Facebook girl, DOGe, Grumpy Cat, sono solo alcune delle icone di questo format comunicativo. Un format ironico, ma capace di autoironia che sa fondere insieme diverse categorie di meme, come il “recut trailer” della saga del Trono di Spade, con protagonista un LOLcat divenuto personaggio.
La Memesfera
Ad ogni categoria di memes corrispondono caratteristiche ben precise di formati, font, canali distributivi. I memes si condividono e si commentano attraverso Reddit, 4chan, Buzzfeed e Knowyourmeme, ma se nascono nei campus universitari, come i Pittmemes (università di Pittsburgh) o gli Yalememes allora vengono inseriti esclusivamente in pagine Facebook dedicate. Sono produzioni di nicchia che risultano incomprensibili a chi non appartiene alla cerchia ristretta del campus.
Nonostante la grande frammentazione, le nove categorie principali di meme sono riconducibili a tre grandi macrocategorie:
- produzione ancorate a spazi fisici
- rielaborazioni di contenuti dei mass media
- produzione legata alla cultura digitale
LOLcats
All animals r equal. But sumz equalr than others (G. Orwell). Traduzione in LOLspeak dall’inglese “All animals are equal. But some are more equal than others”
Tra i contenuti digitali, i più comuni e senz’altro i più popolari, sono i LOLcat ovvero delle fotografie umoristiche di gatti, alle quali viene aggiunto del testo scritto in “LOLspeak” , o “Kitty Pidgin”, uno slang di internet che storpia le parole inglesi. È un linguaggio talmente popolare che Martin Grondin ha avuto l’idea di tradurre la Bibbia in LOLcats. Se ci può sembrare un’idea balzana, ricrediamoci perché ne è successivamente nato un libro illustrato che, dalle 79 recensioni su Amazon, quasi tutte entusiaste, ci fa presumere che il libro abbia avuto un discreto successo nelle vendite. Ai linguisti che vogliono saperne di più suggerisco la lettura dei due documenti citati nel box a fondo articolo: I can haz language play: The construction of language and identity in LOLspeak e I can has Thesis? A linguistic analysis of LOLspeak
Apparsi per la prima volta nel 2005 su 4chan, i LOLcat, non sono però le prime foto che ritraggono gatti con didascalie umoristiche. Le prime foto di questo tipo sono state scattate nel 1870 da Henry Pointer, che ne fece una serie di cartoline per varie occasioni. Ma, per lo spiccato senso umoristico nella composizione dell’immagine, il vero pioniere dei LOLcat è considerato il fotografo vittoriano Harry Whittier Frees con le sue foto del 1903.
Oggi i LOLcat meme hanno uno stile ben preciso. Il testo è allineato in alto e/o in basso nell’immagine, viene usato il font Impact, grassetto, rigorosamente in caratteri maiuscoli, di colore bianco con margini neri.
Un fenomeno culturale quello dei LOLcat, che non sfugge ai professionisti della comunicazione scientifica. Gli esempi sono molti. I più noti?
- il LOLcat di John Cook (@skepticscience) dell’Università del Queensland Global Change Institute, presentato alla conferenza annuale dell’American Geophysical Union (AGU) a San Francisco nel 2013 (immagine a lato)
- The Finch and Pea, (the public house of science) popolarissimo sito di comunicazione scientifica che ha aperto una sezione dedicata ai gatti: Science CATurday (dalla tradizione nata su 4chan di pubblicare la foto di un gatto ogni sabato).
- La wiki di Simon Porter, insegnante, che crea (e vende) slide per l’insegnamento della fisica. Nella sua wiki, una notevole raccolta di LOLcat a tema.
Da seguire per chi ama il filone scienza/gattini “Are kitten a new medium for science communication?“, la bacheca Pinterest autogestita da studenti (e alumni) del Master in Comunicazione delle Scienze dell’Università di Padova.
Advice animals
Nati nel 2006, gli “advice animals” sono una mappa concettuale di soggetti che rappresentano tutte le forme di comportamenti esagerati, di sentimenti ed emozioni stereotipati. Nati come “advice dogs”, oggi comprendono una vasta gamma di immagini, da quella tradizionale e più comune del cucciolo di cane a quella, inserita in tempi recenti, dell’uomo. Questi meme si attengono ad una struttura narrativa simile a quella dei “rage comics” e sono associati a successi o fallimenti nella vita sociale. Servono a condividere in modo collettivo un fallimento che non è quasi mai personale, ma piuttosto degli “altri”, gli esterni al gruppo che mancano di cultura digitale.
Nonostante il nome “advice animals” (animali che danno consigli) questi raramente offrono suggerimenti, più frequentemente il loro scopo è fare dell’ironia sui fenomeni culturali della rete. Ad iniziare da Annoying Facebook Girl, super-entusiasta del social network che ritiene fondamentale per la sua vita sociale, a Bad Argument Hippie un po’ ingenua e molto ipocrita.
Gli advice animals più popolari restano comunque proprio gli animali, il più famoso è Moon Moon, con oltre 4000 follower su Twitter, ma anche Paranoid Parrot, il pappagallo paranoico gode di una discreta popolarità, i suoi fan sono su Tumblr .
Nessuno di loro però è una vera icona della rete, come sono invece i LOLcats.
2013 l’anno del DOGe
Agli amanti dei cani però, i LOLcat non vanno proprio a genio.
Loro non amano le frasi secche, ironiche che ben si adattano alla personalità del gatto, loro cercano un meme per sognatori, capace di dare spazio all’espressione di una complessità di pensieri.
Però, se l’immagine di un gatto ha bisogno di poche parole, non è lo stesso per la foto di un cane. Quale cane, ad esempio, riuscirebbe a rendere l’idea di una monorotaia come lo fa un gatto?
E infatti la cultura internet che ruota attorno al cane di razza Shiba, eletto meme del 2013, non ha bisogno dell’immagine per essere riconosciuta, basta la sua struttura linguistica per farci capire che siamo di fronte ad un DOGe.
Il nome, DOGe, come da tradizione è in LOLspeak, ma le somiglianze con gli altri meme finiscono qui. Un Doge innanzitutto ha più righe di testo, sempre in font Comic di diversi colori, inserite in modo disordinato sopra tutta l’immagine. Contrariamente alle altre culture internet, quelle di una frase per messaggio, qui i messaggi sono tutti insieme. Spesso le immagini sono collaborative e contengono frasi di più autori.
Il termine “wow” appare sempre, spesso in modo compulsivo, le parole “so, very, such, much” non devono mancare, anzi vanno ripetute il più possibile.
Al contrario dei gatti, i DOGe non fanno mai dichiarazioni, ma solo una serie di commenti vaghi e interconnessi. Se nel linguaggio dei LOLcats sono presenti almeno quattro forme verbali, nella lingua dei DOGe la struttura grammaticale è molto più semplice e le frasi sono composte solo da sostantivi e aggettivi.
Come spesso accade quando un meme guadagna velocemente popolarità in rete, anche per il DOGe si sono già formate delle sottoculture: Dogescript, basato sul linguaggio Java, e Dogecoin, basato su Bitcoin.
Questo articolo, pur lunghissimo, non basta ancora a svelare tutto il mondo celato dietro un meme, ma spero sia riuscito a restituire un po’ di dignità ai gattini che tappezzano le nostre bacheche 😉
Bauckhage, C., Insights into Internet Memes, Internation AAAI Conference On Weblogs and social Media, North america, 2012 Chen, C., The Creation and Meaning of Internet Memes in 4chan: Popular Internet Culture in the Age of Online Digital Reproduction, Habitus, Volume III / Yale University, New Haven, CT, p 6-20, 2012 Coscia, M., Competition and Success in the Meme Pool: a Case Study on Quickmeme.com, ICWSM /Harvard University, 2013 Gawne, L., Vaughan J., I can haz language play: The construction of language and identity in LOLspeak, In M. Ponsonnet, L. Dao & M. Bowler (Eds), Proceedings of the 42nd Australian Linguistic Society Conference – 2011, Australian National University, Canberra ACT, 2-4 December 2011 (pp. 97-122) Lefler, J., I can has thesis? A linguistic anaysis of Lolspeak, University of Louisiana, 2011 Powell, A., SRSLY Phenomenal: An Investigation into the Appeal of Lolcats, London School of Economics and Political Science, 2011 Shifman, L., Memes in Digital Culture, Mit Press, 2013 Know You Meme, il sito dedicato al fenomeno degli internet memes Starter Box