Teatro e Google Plus: uno spettacolo da mettere in scena

Che non sia più possibile snobbare Google Plus è ormai chiaro a tutti (o quasi), l’influenza nelle serp “private” di Google (nei risultati delle ricerche effettuate una volta loggati) ha dato la sveglia anche ai pachidermi dell’informazione e la centralità del local Seo ha trovato nello strumento di Mountain View una sponda necessaria e imprescindibile per quei soggetti che dalla riconoscibilità territoriale traggono la spinta primaria per il proprio business.

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CC BY 2.0 https://www.flickr.com/photos/buenosairesprensa/4624746266

Ma uno dei settori che ha maggior difficoltà a relazionarsi con questi meccanismi (ché il plurale in questo caso è d’obbligo per la varietà di possibilità offerte) è quello culturale: in questo caso i grandi player stentano a prendere coscienza dell’opportunità come invece da anni già hanno fatto per piattaforme quali Facebook e Twitter. La disaffezione del mondo culturale per il prodotto di Google è pari solo allo snobismo delle istituzioni: provate a cercare le pagine ufficiali dei grandi comuni,  quando presenti mostrano comunque un’attività sottodimensionata rispetto a ciò che rappresentano, ma questo accade a catena passando per province, regioni e su fino ai ministeri, d’altronde l’ultimo post del presidente del Consiglio, datato 7 febbraio, non dimostra una grande passione per il mondo Google Plus.

Torniamo al fuoco del nostro discorso: la cultura, ovvero un pezzo del nostro paese lasciato ormai alla deriva, che però negli anni ha trovato nelle piattaforme digitali e nei social modalità di comunicazione funzionali e performanti a costi nulli o molto contenuti riuscendo così a coltivare nicchie di pubblico e di interessi a volte anche molto strutturate.
Eppure Google Plus rimane un oggetto strano, di cui non si sente realmente il bisogno, o che al massimo basta frequentare con la creazione di una pagina che nel tempo rimane inattiva nella speranza possa produrre quei miracoli Seo di cui tutti parlano…

Chi scrive si occupa soprattutto di teatro, settore questo in perenne difficoltà ma al contempo in continua evoluzione, vero e proprio laboratorio creativo inesauribile nonostante la sordità della politica. L’affacciarsi degli operatori teatrali verso i social media, avvenuto in forma massiccia negli ultimi 2/3 anni, ha radicalmente mutato certi meccanismi di pensiero oltre che di relazione tra i soggetti in campo (produttori, artisti, spettatori, spazi teatrali).

Facebook e Twitter come veicoli per la comunicazione di teatri ed artisti

Ora il pubblico può tracciare quasi l’intera filiera di produzione di un’opera teatrale e in certe occasioni seguirla dalla creazione alla fase di post debutto grazie a piattaforme come  Facebook e Twitter.
Un cambiamento radicale per chi si occupava di comunicazione prima del web 2.0, una rogna per molti uffici stampa abituati a chiamare in redazione i redattori delle varie testate, un grattacapo per gli uffici promozione dedicati a gruppi e scolaresche con cui avere un contatto telefonico. Ora il pubblico bisogna cercarlo anche tra le comunità online,  farlo vivere, tentando di coinvolgerlo prima e dopo l’evento spettacolare, pungolarlo, ascoltarlo, invogliarlo. Ma questo lo hanno capito in molti, artisti e teatri sono ormai sbarcati sul social di Zuckerberg e lo utilizzano come veicolo principale della propria comunicazione; a Twitter il compito del contatto diretto con il pubblico, con le emozioni immediate. È un panorama molto eterogeneo che nella stragrande maggioranza dei casi non si affida a professionisti del settore, ma alla buona volontà di operatori già alfabetizzati quel minimo che basta per gestire piccole comunità senza particolari salti mortali.
Ma c’è anche tanta approssimazione, e a volte una fiducia insensata nel mezzo con la pretesa ad esempio che una profilo o pagina Facebook (in molti per anni non hanno avuto ben chiaro la differenza) possa sostituire un sito web.

Teatro e Google Plus: un’opportunità ancora da scoprire

Google Plus continua a rimanere fuori dai giochi, prendiamo a esempio la più importante istituzione teatrale italiana, il Piccolo Teatro di Milano.
Da sempre all’avanguardia nel promuovere la propria immagine e nel coltivare il pubblico, basti pensare che l’ufficio marketing di via Rovello fu aperto negli anni ’80, lo Stabile diretto da Sergio Escobar ha una pagina Facebook con quasi 100.000 fan, una comunità attenta che partecipa e commenta anche su Twitter, una web tv che pian piano sta diventando archivio preziosissimo e da poco ha anche pubblicato sull’AppStore una app con cui divulgare libretti, programmi di sala e altri contenuti originali.
Ebbene se andassimo a cercare il Piccolo Teatro di Milano su Google Plus troveremmo un profilo (neanche una pagina) con 56 followers, ma soprattutto ci accorgeremmo presto che il profilo non è neanche utilizzato, non c’è un post (cosa che spiega naturalmente la penuria di seguaci), le informazioni di profilo sono centellinate, ma abbondano i video su Youtube a dimostrazione insomma che l’obbligo creato da Google di aprire un profilo Google Plus per gli utilizzatori di Youtube in questo caso ha creato semplicemente un account dormiente.
L’unico profilo legato al Teatro alla Scala è quello della relativa accademia: 32 follower e ultimo post datato 11 dicembre 2013.
Non cambia molto la situazione al Teatro di Roma, ovvero il teatro pubblico della Capitale, che in questo momento tra l’altro è ancora (dopo mesi) senza guida e in attesa che ll C.d.A. trovi l’accordo per un direttore artistico.

Discorso analogo per le riviste che sul web si occupano di teatro, tralasciando quella di Teatro e Critica gestita da chi scrive (per evidente conflitto di interessi), anche in questo caso le più importanti realtà come Tamburo di Kattrin, Altre Velocità, Stratagemmi, ateatro, Rumorscena, Dramma.it, Culture Teatrali su Google Plus hanno profili e pagine abbandonate a se stesse oppure neanche mai aperte. Altre realtà editoriali come Krapp’s Last Post e Vista sul Palco aggiornano stabilmente le proprie pagine senza però superare il muro dei 65 followers. La palma d’oro delle buone pratiche va invece a Fermata Spettacolo, sito multidisciplinare (cinema, teatro, musica, libri, danza, viaggi) che può vantare 696 follower e un’attività quotidiana sospinta dalla frequente pubblicazione di fotografie accattivanti in puro stile Google Plus. Uno dei più influenti e interessanti siti culturali d’Italia, Doppiozero, mentre su Facebook ha raccolto una comunità di più di 24.500 fan, su Google+ si ritrova ad avere 8 persone che lo hanno inserito nelle proprie cerchie.

Non basta insomma aver coltivato un grande bacino di seguaci su altri social network per avere di punto in bianco quella stessa comunità su Google Plus (che probabilmente un social non è): senza un accurato e quotidiano lavoro di community management che riesca a traghettare utenti da Facebook e allo stesso tempo possa impiegare tempo e tecniche per creare nuove relazioni tra gli appassionati di Google Plus quelle pagine rimarranno a lungo addormentate.

La chiave è nei contenuti, anche in questo caso, le possibilità che offre Google Plus da questo punto di vista sono numerose, senza elencare i motivi per i quali lo strumento di Google è imprescindibile nel settore degli eventi culturali  (leggete ad esempio questo post di Claudio Gagliardini e  Salvatore Russo), alcune caratteristiche di questo strumento potrebbero essere utili e innovative: la possibilità degli Hangout in diretta ad esempio permetterebbe di creare piccole trasmissioni televisive anche in diretta alle quale possono accedere proattivamente i fan della pagina, immaginate la possibilità di mostrare al proprio pubblico frammenti di workshop, prove, seminari, convegni, lezioni; oppure pensiamo alle numerose community nate dal basso e pronte a ricevere contenuti di qualità.

Uno spettacolo di case study

Il progetto #Dream40 realizzato dalla Royal Shakespeare Company  in collaborazione proprio con Google rimane inarrivabile e rappresenta un case study da tenere ben presente. La storica compagnia londinese ha inteso il momento spettacolare solo come una propaggine di un lavoro ad ampio spettro pensato per Google+. Navigando i contenuti archiviati con l’hashtag #Dream40 ci si rende conto di come gli utenti/spettatori abbiano contribuito a raccontare Midsummer Night’s Dreaming.

Questi sono solo alcuni esempi, gli utilizzi sono molteplici e in questo momento gli operatori culturali dovrebbero guardare a Google Plus come a una terra nuova e con un piglio pionieristico iniziare ad abitarla senza pregiudizi e timori.

Autore Andrea Pocosgnich

Si laurea in Storia del Teatro con una tesi sul regista e artista polacco Tadeusz Kantor, dopo un master in Critica giornalistica comincia a connettere la passione per il teatro con quella per le tecnologie digitali e fonda nel 2009 la rivista web Teatro e Critica di cui è attualmente uno dei redattori oltre che social media manager e community manager. Ha collaborato per varie riviste come I Quaderni del Teatro di Roma e Doppiozero. Si occupa inoltre di progettazione e formazione nel campo delle performing arts con laboratori accompagnamento alla visione e scrittura critica.

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