Ho scelto Rachele Zinzocchi come ospite di Cowinning, Web Community Manager presso H3G, per un motivo molto semplice: volevo raccontare ai lettori di Cowinning cosa fosse davvero la SocialCare e non conosco professionista migliore di Rachele per farlo.
Rachele è una di quelle persone che hanno il proprio lavoro nell’anima e lo lasciano trasparire in ogni singolo pensiero, post o tweet che regalano alla Rete, una di quelle persone che ti fanno amare ciò che fanno per come lo fanno.
Vi lascio a questo splendido articolo in cui traspare tutta la passione e la dedizione che richiede la SocialCare!
Veronica Gentili
Customer Care: questo sconosciuto.
Te ne accorgi quando ti manca, lo metti in cima alla lista quando ne hai bisogno.
Ma nella quotidianità non ci pensi, non abbastanza: né tu, Brand, né il cliente stesso. Relegato spesso nella sostanza a Cenerentola delle strategie di marketing, a semplice “servizio operatori”, l’assistenza al cliente fa invece parte del Core Business di aziende che mirino al successo: e tanto più è chiamato a riappropriarsi del suo scettro quanto più il cliente stesso ne reclami consapevolmente il ruolo.
Oggi più che mai.
Ora che il mondo si è fatto social,che vale il principio #SocialErgoSum: «O sei social o non sei».
Anche nel Customer Care. Che diventa online: #SocialCare, appunto. Ma come?
Uno spettro si aggira per l’Europa. È il cliente: croce e delizia delle aziende.
Oggetto del desiderio dei Brand, conteso a suon di offerte vere o presunte, ha imparato a far sentire bene la sua voce. La necessità aguzza l’ingegno: e, fattasi virtù, lo rende ormai sgamato, in un processo di “darwiniana evoluzione del consumatore consapevole” esponenzialmente incrementatosi con la crisi, ma che avrebbe fatto il suo corso comunque nella quotidiana giungla per la sopravvivenza.
Le richieste si sono alzate. L’aspettativa è cresciuta rispetto a una soglia che già faticava – forse fisiologicamente – ad esser soddisfatta. Le ore di attesa per parlar con qualcuno, nel balletto dei rimpalli tra reparti, sono sempre più mal tollerate.
Ma ecco l’idea. «Facebook, giusto! Ora gli scrivo in bacheca a questi, così risparmio pure sulla telefonata. Gli lascio un messaggio che se lo ricordano, tanto lo sanno – no? – che se non mi assistono lo dico a tutti e i clienti poi se li scordano».
Lo sanno, no?
No. Non tutti, non sempre.
Come riportato di recente da Blogmeter, di 2.519 Pagine Facebook di Brand che scrivono in italiano, Il 52% ha risposto almeno a un post. Quelle però che hanno risposto almeno a 500 post sono solo 60: il 2,4%. Così su Twitter, di 1.167 account, il 58,8% ha risposto almeno a un post, ma ad aver risposto almeno a 500 sono solo in 23: uno striminzito 2%.
In questo modo la Customer Satisfaction resta un miraggio. Il cliente insoddisfatto non compra più: non è cliente di nessuno, mirerà alla fuga. Fine della storia. Fine delle trasmissioni: della “comunicazione”.
E tutto ciò perché non c’è stata una buona assistenza, un buon Customer Care: un buon Social Care.
#SocialCare che, attenzione, risulta latitante anche nel caso inverso: quando il Customer Care Online venga sì assunto come un must-have, ma proprio per ciò banalmente e frettolosamente sussunto nel sistema organizzativo della assistenza clienti tradizionale, senza comprenderne la specificità social.
Quando cioè il dialogo online – mandato giù come pillola inevitabile, fiorito il virus dei social sul terreno di un’assistenza clienti carente – si impari non a «viverlo», ma solo a «gestirlo»: “sbattendo” qualche decina di operatori dalla cuffia allo schermo – nello stolto ma resistente pregiudizio che «tanto ormai tutti sanno giocare con Facebook», nella foga di un multitasking ove il network si fa semplice «lavoro da smaltire», «oggetto», «ticket» da gestire il più velocemente possibile per battere la concorrenza. Niente «amici», nessuna «persona».
Così, ridotto a una semplice e inconsapevole versione aggiornata del Customer Care tradizionale, il presunto «Social Care» si fa sfuggire l’obiettivo, il core di questo nuovo business: non la produttività innalzata a totem per la massimizzazione del profitto, non il Response Time da abbattere a tutti i costi per battere il competitor in produttività e in classifica, ma l’aiuto dato al cliente dal cuore, in costante dialogo e ascolto.
L’abbattimento dei tempi d’attesa è cosa buona e giusta, purché all’altare della velocità non si sacrifichi l’attenzione verso il cliente: la sensatezza, l’esaustività in termini di caring e capacità risolutiva delle risposte date.
#SocialCare, dunque: «Chi era costui?».
La domanda è nei fatti ancora aperta. Rispondere tanto, a tutti e velocemente. Ma rispondere bene.
Quantità e qualità rigorosamente a braccetto. Niente “risponditori automatici”, per far presto e [non] bene, ma niente trascuratezza.
E, aggiungiamo, niente spreco di energie. Quali?
Quelle che non di rado vengono dedicate a chi, e a ciò che, non merita attenzione: contravvenendo al sacrosanto principio «Don’t feed the troll». Il “porgere l’altra guancia” insito nel #SocialCare non può infatti essere cieco: se no anche il maggior dono si fa sterile.
I ring squadernati dai «troll» che affollano la rete – e che agilmente si muovono tra lamentele e reclami, accuse e offese, diffamazioni e caccia di #EpicFail veri o presunti – sono trappola che sottrae tempo a chi ha davvero necessità di aiuto. Dinanzi a chi pretende con arroganza e presunzione che un tweet sposti le montagne solo perché suo, occorre saper dire «Noli me tangere».
La Social Education è tutt’uno col #SocialCare e col proprio generale essere social. In questi casi occorre imparare a dire un «no» e un «sì». No alle risse, a chi accende flame col solo scopo di ferire, di infiammare la rete pregiudizialmente. Sì a quanti davvero, invece, richiedono attenzione. Ignorare quelli e valorizzare questi.
«Non curarsi di lor», ma «guardare e passare»: questo è il detonatore principale per fare esplodere e liberare energie positive da riservare al “prossimo”. Scegliere chi fa, non chi distrugge.
«Social Care» sì allora: rispondendo a tutti, velocemente e però bene, senza automatismi ma senza mai dimenticare nessuno – fatti salvi i troll. #SocialCare sì: ma come?
«Assistere comunicando, comunicare assistendo»: questo è il vero #SocialCare.
«Ascolta, poi rispondi»: con cuore, amore, devozione, spirito di servizio verso i propri contatti social che sono anzitutto “amici”. «Understand them, THEN reply».
Ascolta, poi rispondi.
Senza frenesia. Senza l’ansia, che inibisce l’ascolto.
L’assistenza sia sempre comunicazione ricca di senso, di quanto viene da dentro: stai trattando con un amico, una persona vera, non un account Twitter da smaltire. E mentre comunica, assisti: da’ tutto te stesso per risolvere davvero il problema segnalato. «Bring us your problems», ammonisce Seth Godin.
Sii un vero problem solver: il mondo farà la fila alla tua porta.
La nostra è una «Knowledge economy», economia della conoscenza, che crea valore a partire dall’uomo, le risorse umane, il “capitale umano”, col suo patrimonio di know how e creatività. Ma questo, in una svolta che si fa carico della sfida dell’innovazione, si moltiplica esponenzialmente se condiviso nelle infinite connessioni di network e social network: in un’economia collegata e partecipata, una Sharing Economy ove si fa ricchezza autentica – risorsa sociale, economica e solidale.
Ricchezza “è” condivisione, è Social Care: «Io aiuto te, che aiuti me». Il nuovo marketing su social si fa essendo utili. «Vuoi vendere? Aiuta». È la «Youtility» di cui parla Jay Baer, quel Marketing «about Help, not Hype»: «aiuto», non «strillo», «lancio pubblicitario», «così utile che la gente sarà felice di pagare».
«Per vincere», continua Baer, «la domanda da porsi è: “Come possiamo aiutare?”». Ove riecheggia anche Seth Godin, col suo noto «May I help you?».
In questo nuovo “marketing del volontariato” – un “egoismo altruista”, altruismo egoista – sta «il fattore determinante del successo del business oggi». Se ti sarò utile – se ti darò prova del mio essere trusted – tu resterai con me.
Solo se mi metto al tuo servizio, dandomi a te completamente, tu mi darai la tua ben riposta fiducia: tu mi crederai. E comprerai.
Non si tratta più di vendere oggi, ma di aiutare.
Non vendere, aiuta. Vedrai, così anche il business arriva.