Ho iniziato a fare radio, anzi web radio, quasi un anno fa, perché volevo provare a comunicare attraverso un mezzo che non fosse solo il foglio bianco riempito di parole. Oggi penso che, se non fosse stato per la radio, non starei qui a scrivere quello che scrivo, ma per farvi capire ciò che intendo ho deciso di far parlare Pietro Osti, socio della cooperativa White – Sound + Ideas e responsabile del palinsesto di Radiobue.it, nonché speaker ormai navigato e insegnante di quasi tutto quello che di web radio io so.
Partiamo da White. Quando e come è nata la cooperativa e perché avete scelto proprio questo pay off?
White esiste dal dicembre del 2007 ed è nata a Verona da un’idea di alcuni giovani legati al mondo della comunicazione. La sua fondazione è avvenuta poco dopo la nascita di Fuori Aula Network, la web radio universitaria di Verona, che ha preceduto di poco la cooperativa e ne ha fatto in qualche modo sentire la necessità, perché la web radio andava gestita e serviva un gruppo di persone che lo facesse. Il progetto si è poi allargato a Padova, dove White ha dato supporto per la trasformazione di Radiobue.it da progetto pilota dell’Università di Padova a vera e propria stazione radiofonica su web.
Quanto al pay off direi che rappresenta bene quello che ci piace fare. White ha iniziato occupandosi di audio e continua a fare dell’audio il suo core business, anche se non in senso stretto perché abbiamo prodotto anche contenuti video, e questo intendiamo con “Sound”. Ma al sound sommiamo anche un bel po’ di creatività per proporre sempre dei prodotti innovativi, ecco perché c’è quel “+ Ideas”. Insomma, White non è altro che la somma della nostra passione per la radio e della creatività che cerchiamo di mettere sempre nei nostri progetti.
C’è da aggiungere che noi siamo stati fra i primi a occuparci di web radio, quando abbiamo iniziato non c’era molta gente a farlo. A essere onesti non c’è stata una logica di mercato dietro questa scelta, volevamo “riempire un buco” e ci è venuta questa idea dalla passione per la radio (che già quasi tutti facevamo da un po’). Proprio per questo motivo la nostra scelta si potrebbe definire quasi pionieristica: era scontato che la radio tradizionale iniziasse a trasmettere anche via web, un po’ meno che noi ci mettessimo a creare contenuti radio web oriented – di cui le web radio universitarie sono poi la naturale concretizzazione – dal momento che il progetto sembrava un po’ quello di una radio “libera”, cioè meno strutturata rispetto alle emittenti tradizionali. Ma ha funzionato.
Non vi occupate solo di radio però, giusto?
No, facciamo anche altro. Abbiamo realizzato alcuni siti web, ci occupiamo di web design, mobile, comunicazione online e organizzazione di eventi. Ma l’attività principale rimane la radio, anche se consideriamo tutti servizi che offriamo sullo stesso piano. Ormai il mercato richiede specializzazione e voglia di cambiare e mettersi in gioco.
Ma torniamo alla radio. Per la tua esperienza sarebbe corretto considerare le web radio un mezzo adatto all’educational?
Sicuramente la radio, per come la facciamo noi di White, nasce con questo intento (e non solo).
Chiariamo però prima cosa vogliamo intendere con educational. L’educazione possiamo considerarla un processo di trasmissione sia di contenuti che di comportamenti. E in questo senso quello che diciamo sempre a chi arriva in radio chiedendo di fare lo speaker piuttosto che il redattore è che entra con una mail che solitamente non lo identifica, perché magari è solo un nomignolo come “stellina” e la data di nascita, ma esce con una propria identità che si forma lungo il percorso, ed ecco che la mail con il nomignolo non la usa più, ma se ne fa una nuova. È un po’ una metafora per far capire che lavorare in radio ti cambia, direi che ti forma. Ti abitui ad aver a che fare con scadenze, responsabilità, preparazione di contenuti che non siano per un esame; acquisisci una competenza professionale stando a contatto con un know how accessibile a tutti che ti permette di fare un lavoro su te stesso.
E per quanto riguarda la trasmissione di contenuti?
Ti faccio un esempio, un progetto di media education che stiamo portando avanti con alcune scuole secondarie del veronese.
L’anno scorso abbiamo iniziato un mini corso di radiofonia coi ragazzi nella forma di laboratorio esterno gestito assieme ad alcuni dei loro professori. Oltre all’entusiasmo che la cosa ha potuto creare anche solo per la novità di utilizzare microfono e cuffie, ciò su cui abbiamo lavorato è stato il linguaggio radiofonico. Ed è proprio attraverso l’acquisizione del linguaggio radiofonico che volevamo far acquisire ai ragazzi tutta una serie di “impostazioni” che torneranno loro sempre utili, dal saper scrivere adattandosi al mezzo di comunicazione al gestire al meglio gli imprevisti. Volevamo soprattutto comunicare loro il senso del gruppo, perché la radio non si fa mai da soli. Certo, ognuno ha il suo ruolo, che sia regista, redattore o speaker, ma non esiste spazio per essere passivi. Anche se il contenuto è già impostato, la sua elaborazione è solo tua ed esiste sempre spazio per la reinterpretazione.
A proposito di reinterpretazione, è proprio sulla scia di questo che stiamo pensando a un progetto di radiofonia nelle scuole per parlare dei Promessi Sposi alla maniera radiofonica [cioè in maniera immediata, essenziale, irripetibile e soprattutto molto personale n.d.R.]. I Promessi Sposi sono il contenuto preimpostato, se vogliamo vederla così, ma il linguaggio radiofonico ti permette di trasformarli in un contenuto divertente ed educativo, e in qualche modo indimenticabile, grazie alla reinterpretazione. Ognuno può metterci del suo perché in fondo la radio è anche teatrale, devi sapere qual è la tua parte.
Quindi la radio, e la web radio di conseguenza, non è solo quella che si fa dentro allo studio di registrazione. Se davvero la radio è teatrale, allora il pubblico non sono solo gli ascoltatori del web, ma esistono anche degli spettatori.
La radio è nata come luogo molto intimo e misterioso, ma da quattro o cinque anni questa dimensione si è ampliata perché la radio si vede (penso alle televisioni che trasmettono le riprese dallo studio di registrazione, per esempio). Anche se l’idea originale è che fare radio ti permetta di stare nel tuo guscio isolato dall’esterno, mi piace che ora da questa dimensione si possa uscire, soprattutto partecipando a “eventi radiofonici”. Noi di White abbiamo contribuito all’organizzazione di NEAR (ex Veneto Night, la notte europea dei ricercatori) ed è stato davvero bello [oltre a rappresentare uno dei risultati più evidenti di quel poter comunicare fuori dall’Accademia che le web radio permettono n.d.R.].
Un evento radiofonico come NEAR ti permette di mettere d’accordo diverse realtà, dal semplice regista che passa le canzoni al ricercatore che deve comunicare i risultati del suo lavoro in non più di un minuto. In questi casi la gestione delle persone è diversa, perché quell’esperienza una volta intima diventa viva e tangibile (anche nel momento in cui devi chiarire coi vigili quanto puoi tenere alto il volume perché il gazebo da cui trasmetti è montato di fronte al palazzo del Bo, esattamente in centro a Padova). E poi ci sono le persone, c’è tanta gente che si ferma ad ascoltarti e interagisce con te, oltre ai tanti stimoli in più che possono portarti a sbagliare ma anche a saper gestire l’imprevisto, dalla persona che non vuole farsi intervistare alla linea che non funziona. Forse direi che la cosa che apprezza di più il pubblico è quel diffuso senso di incertezza che permea questi eventi, anche se a dirlo così sembra brutto. Considera che l’aorta radiofonica è la sincerità e un evento in diretta e all’aperto è pieno di cose che potrebbero andare come non avevi previsto, quindi fa parte del gioco che il pubblico possa rendersene conto. Ma non è un problema, di solito la gente lo apprezza.
Diresti che NEAR è un po’ l’evento simbolo della trasmissione di contenuti di qualità di cui la web radio si è fatta uno degli strumenti principali?
Sicuramente sì, direi che NEAR è la summa maxima della trasmissione di contenuti e anche del senso di educational di cui si parlava prima: raccontare la ricerca è una bella sfida, soprattutto per chi prepara l’evento. E il risultato è che chi ci lavora impara cose nuove e acquisisce esperienza, e chi ascolta sicuramente si porta a casa qualcosa che prima non sapeva.
Chi è Pietro Osti?
Sono un creativo, a metà tra l’intrattenitore e il giornalista. Mi piace creare spazi per raccontare storie e infilarci dentro qualche risata, il tutto condito da un’attenzione ai contenuti web oriented. Ah sì, sono anche un grande fan del Naso Rosso, della bicicletta e prima o poi farò anche del teatro.
Le foto della sala di registrazione e della short bio sono di Antonio Massariolo, le altre di Francesca Papais.